La calcolosi urinaria, che tutti conosciamo con il nome più comune di “calcoli renali”, è una patologia che si sta diffondendo sempre più: oggi circa il 10-15% delle persone ne sono vittime nell’arco della loro vita, ma questa tendenza viene registrata in crescita soprattutto nei Paesi più industrializzati e, in base ai dati più recenti, il fenomeno è dato in aumento anche tra le donne. Un aumento dovuto allo stile di vita moderno, all’alimentazione iperproteica e alla scarsa idratazione.
Una condizione cronica dalla facile recidiva
«La calcolosi urinaria non si presenta semplicemente con episodi acuti – spiega il professor Angelo Porreca, Responsabile dell’Unità Operativa di Urologia in Humanitas Gavazzeni e Castelli e professore presso Humanitas University –, ma è una condizione cronica che richiede un inquadramento clinico e un monitoraggio nel tempo. In molti casi, infatti, il rischio di recidiva è elevato».
I calcoli ai reni si formano quando alcune sostanze che sono presenti nelle urine, come il calcio, l’ossalato o l’acido urico, si cristallizzano in questi organi. Le dimensioni dei calcoli variano: possono essere come granelli di sabbia o assumere una grandezza tale da ostruire le vie urinarie causando la tipica colica renale, un dolore improvviso e intenso che si irradia dal fianco e si spinge fino all’inguine.
In alcuni casi i calcoli restano asintomatici e vengono scoperti per caso. In altri, oltre al dolore tipico della colica, i sintomi della calcolosi urinaria possono consistere in sangue nelle urine, bruciore minzionale, urgenza a urinare, nausea e, in caso di infezione, anche febbre.
L’aiuto di imaging e chirurgia robotica
Le complicanze della calcolosi urinaria possono essere gravi e possono spingersi fino all’ostruzione delle vie urinarie, a infezioni fino alla sepsi, all’idronefrosi – che si verifica quando il rene s’ingrossa a causa dell’urina che si accumula al suo interno – a danni renali irreversibili e, nei casi più trascurati, a insufficienza renale cronica.
La diagnosi viene effettuata con esami delle urine e del sangue cui si associa una fase cruciale legata agli esami strumentali di imaging. «In questo caso l’ecografia è il primo passo da effettuare – spiega il dottor Marco Giampaoli, Referente Calcolosi e Stone Center di Humanitas Gavazzeni e Castelli – ma la TAC, soprattutto l’Uro-TC, è oggi il gold standard per localizzare con estrema precisione calcoli presenti in ogni tratto urinario».
Il trattamento varia a seconda delle dimensioni dei calcoli e dall’intesità dei sintomi provocati dagli stessi calcoli: per quelli più piccoli si preferisce un approccio conservativo, consistente in idratazione, antidolorifici e farmaci espulsivi, per quelli più grandi o sintomatici si ricorre a tecniche mininvasive come: ESWL (litotrissia extracorporea a onde d’urto), RIRS (uretroscopia retrograda con laser) e PCNL (nefrolitotrissia percutanea) per calcoli voluminosi.
«Negli ultimi anni — prosegue il dottor Giampaoli — l’uso di strumenti endoscopici miniaturizzati e della chirurgia robotica ha reso possibile trattare anche i casi più complessi con elevata efficacia e minore invasività».
Calcolosi urinaria, l’importanza della prevenzione
La calcolosi urinaria, come detto, è una patologia piuttosto soggetta a recidive, che interessano circa il 50% dei pazienti entro cinque anni dall’intervento. Per questo è fondamentale sottoporsi a follow-up, cioè a un monitoraggio che parta dall’esecuzione di un’analisi del calcolo rimosso e da una valutazione metabolica da eseguirsi con esami delle urine nelle 24 ore e con dosaggi ematici, e arrivi a controlli ecografici da mantenere nel tempo, nei mesi e anni successivi all’intervento.
La prevenzione della calcolosi urinaria, infine, si basa su corretti stili di vita, che prevedano idratazione regolare, dieta equilibrata che preveda un buon consumo di frutta e verdura e poca carne rossa e sale, più un’eventuale terapia farmacologica nei casi a rischio. «Ogni paziente — conclude il prof. Porreca — merita un percorso personalizzato, non solo per curare il calcolo, ma anche per evitarne la ricomparsa e proteggere la salute renale a lungo termine».
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